La progettazione, secondo lo User-Centered Design, si costruisce attorno all'utente, considerando i suoi obiettivi, le sue aspettative ma anche le sue difficoltà, note ed eventualmente riscontrabili.
Ogni designer ha il dovere di valutare attentamente il gruppo di persone per le quali sta progettando e conoscerle attraverso la ricerca. Tuttavia, spesso nell’identificare il gruppo di utenti target si commettono degli errori: uno di questi è quello di limitarsi a considerare solo gli “utenti tipici”, ignorando altre categorie che automaticamente vengono escluse.
Questo è certamente limitante per chi non viene considerato durante la progettazione, perché si ritroverà con un prodotto o un servizio non pensato anche per lui e quindi dall’interazione potenzialmente meno facilitata, così come lo è anche per il prodotto o servizio che si sta realizzando, che non sarà pienamente utilizzabile da un numero di utenti vasto, bensì ridotto.
In questo articolo parliamo di accessibilità, della centralità di questo concetto nel design di oggetti fisici e virtuali, di come applicarla nel processo di progettazione e quali differenze ci sono con il concetto di inclusività.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Per accessibilità si intende la capacità di un prodotto, di un servizio o di un ambiente di essere facilmente utilizzabile da qualsiasi utente che si ritrovi ad usarlo, o almeno dalla maggior parte di essi. Rendere qualcosa accessibile significa anche fornire a tutti le stesse opportunità e gli stessi diritti.
Questa definizione viene particolarmente utilizzata con riferimento alle pari opportunità di esperienza sul web per persone affette da disabilità, rimuovendo le barriere che non consentono loro l'interazione o l'accesso.
Si tratta quindi di non progettare solo per la maggioranza, ma di considerare anche la minoranza.
Ma perché è importante farlo? I motivi sono essenzialmente due:
Un'interessante definizione di disabilità è quella fornita dal Modello Sociale di Disabilità, diverso rispetto al Modello medico, secondo il quale essa "è il risultato di un’interazione tra il livello di limitazione individuale fisica o sensoriale o cognitiva o mentale e il contesto di vita".
Una persona è disabile perché il contesto, poco accessibile, la rende tale.
Si tratta di un'affermazione forte ma che solleva riflessioni rilevanti, pertanto ogni designer dovrebbe sentirsi responsabile di considerare sempre la questione dell'accessibilità (responsabile, NON colpevole). In altre parole, nessuno si sentirebbe affetto da disabilità, quindi tutti potrebbero accedere ed utilizzare beni e servizi, se questi non fossero stati progettati con barriere di un qualche tipo.
In Italia, secondo Istat, le persone disabili sarebbero circa 3 milioni e 100 mila, pari al 5,2% della popolazione. L'ente stesso usa i termini "persone con limitazioni gravi” e “persone con disabilità” in modo intercambiabile ed è quello che si intende anche in questo articolo. Parlando di User Experience, infatti, non è rilevante sapere se una difficoltà o limitazione sia dovuta ad un'effettiva disabilità permanente o ad una difficoltà temporanea. È invece rilevante comprendere se e come alcune limitazioni possano costituire un problema per l'usabilità, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Possiamo suddividere le disabilità in quattro categorie:
Le disabilità però possono essere anche solo temporanee o situazionali. Riagganciandoci alla definizione di disabilità legata al contesto, possiamo infatti notare che situazioni in cui ci si sente limitati, rientrano un po' nella vita di tutti. Proviamo quindi a rivedere l'elenco delle disabilità, intese come limitazioni dovute al contesto, facendo qualche esempio:
Gli oggetti comuni, tanto quanto il web, devono essere progettati per essere il più largamente possibile accessibili. Nella nostra quotidianità sarà capitato diverse volte di trovarci a interagire con un prodotto dal design per noi inaccessibile, per una particolarità nella sua progettazione o per una nostra difficoltà di partenza. Vediamo qualche semplice esempio.
Immagina quanto possa essere difficoltoso per una persona che soffre di artrite aprire una comune bottiglia d’acqua ancora nuova, oppure a come una persona bassa fatichi a raggiungere i prodotti in cima allo scaffale del supermercato. In realtà, anche senza essere necessariamente affetto da una patologia o avere una statura particolarmente bassa è comune ritrovarsi in almeno una di queste situazioni: faticare ad aprire un barattolo chiuso strettamente, non riuscire ad alzare un’oggetto molto pesante, sedersi su un sedile troppo piccolo (o troppo grande) per la propria corporatura, e così via. Nel mondo videoludico un aspetto che viene considerato con attenzione è l’affaticamento muscolare. Giocare non deve diventare stancante né doloroso, sia a livello articolatorio che muscolare, e questo è particolarmente vero per gli studi (ancora piuttosto acerbi) sul gesture control o gesture recognition: sviluppare giochi che richiedono gesti molto ampi o tenere le braccia alzate per lungo tempo sono decisamente sconsigliati. Questi sono tutti di esempi in cui il problema è di tipo fisico.
Se consideriamo, invece, un problema di tipo concettuale, quindi nel nostro caso un prodotto dal difficile utilizzo o poco intuitivo, gli esempi diventano molto più interessanti. Prendiamo il caso di una persona poco pratica nel fai-da-te, alle prese con dei mobili da cucina appena comprati e da montare autonomamente: in assenza di un libretto di istruzioni l’impresa risulterebbe estremamente frustrante e quasi impossibile da completare con risultati soddisfacenti. Tuttavia, è anche vero che la stessa difficoltà si potrebbe avere anche se si avessero delle indicazioni elaborate con eccessivi tecnicismi, quindi con l’uso di una terminologia praticamente sconosciuta.
Ma cosa dire dei libretti illustrati? I libretti delle istruzioni di Ikea, ad esempio, non contengono informazioni di montaggio testuali ma solo illustrazioni e simboli. Si tratta di un problema di accessibilità perché i designer di Ikea danno per scontato che la nostra mappa mentale corrisponda alla loro, ovvero che il nostro e il loro modo di interpretare le immagini sia lo stesso. Questo diventa ancora più problematico se si considera che lo stesso modello di istruzioni viene utilizzato in tutto il mondo, attraversando quindi culture diverse.
Il Web offre un sacco di opportunità, ma non sono accessibili a tutti. Nonostante abbia agevolato la vita di molte persone affette da disabilità, l'accessibilità in rete è ancora oggi un principio non sempre opportunamente considerato.
Questo divario, tra coloro che hanno la possibilità di accedere autonomamente alle risorse web e coloro che non possono a causa di qualche disabilità, si definisce Web Accessibility Divide.
Prima di vedere le linee guida nelle WCAG 2.1, è opportuno riportare i 4 principi dell’accessibilità del W3C, secondo cui un sito è accessibile quando è:
Qui trovi alcuni strumenti per verificare l’usabilità del tuo sito.
In Italia esiste una specifica legislazione volta ad assicurare, o meglio a favorire, l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici. Tra queste si ricorda la “Legge Stanca”, atto n.4 del 9 gennaio 2004 (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) che cita: "per accessibilità si intende la capacità dei sistemi informatici, ivi inclusi i siti web e le applicazioni mobili, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari”.
Originariamente l’atto si basava su un adattamento delle WCAG 1.0 e successivamente è stato aggiornato alle WCAG 2.0.
L'obbligo della sua applicazione è però ristretta ai soli siti della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità, nonché ai soggetti che beneficiano di contributi pubblici per lo sviluppo di servizi informatici. Questo serve principalmente per garantire alcuni servizi pubblici, come il pagamento dei tributi, i servizi postali o i servizi sanitari, siano accessibili al più ampio numero possibile di cittadini.
Un ente che svolge diverse attività a favore dell'accessibilità è l'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID), tra le quali ricordiamo:
Anche l’Unione Europea si impegna per garantire l’accessibilità web.
Come applicato in Italia, un progetto di legge approvato dal Parlamento Europeo nel febbraio 2014 sancì che tutti i siti web gestiti da settori pubblici avrebbero dovuto essere resi accessibili a tutti. Lo standard europeo contenente i requisiti è il EN 301 549 V1.1.2, pubblicato dal ETSI e oggi sostituito dal EN 301 549 V2.1.2.
Sono tuttavia esclusi dalla direttiva alcuni siti e applicazioni mobile, come quelle delle emittenti di servizio pubblico.
Abbiamo più volte nominato le tecnologie assistive: ma cosa sono?
Sono strumenti informatici volti a favorire l’integrazione dei disabili nell’uso di hardware e software, da non confondere con quelli che vengono definiti “ausili” come le sedie a rotelle o le protesi. Le tecnologie assistive sono delle interfacce che si installano successivamente su un sistema "standard", come un computer o uno smartphone, al fine di renderlo più usabile e accessibile.
Si tratta di un settore molto interessante per uno UX designer e, in un certo senso, anche molto stimolante perché permette di confrontarsi con utenti diversi e ascoltare, comprendere e soddisfare bisogni nuovi.
Ecco alcuni esempi:
Vediamo ora alcuni degli accorgimenti per garantire l'accessibilità dei siti web, secondo le indicazioni nella WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines) sviluppata dal W3C (World Wide Web Consortium).
Uno sfondo chiaro e il testo scuro sono generalmente la formula base per garantire un'ottima leggibilità. In generale, l'obiettivo sarebbe avere una contrast ratio di 4.5:1, mentre per i font di dimensioni maggiori di 18 pt è richiesto un ratio 3:1. È possibile verificare se il contrasto è accettabile sul sito accessible-colors.com. Questa regola vale anche per le immagini, oltre che ai testi.
Per esempio, anziché scrivere "inserisci la tua e-mail" all'interno del campo, inserirlo sopra. All'interno è preferibile segnare solo "e-mail".
Nel caso della navigazione, è utile segnalare la pagina visualizzata sottolineando il nome di quest'ultima o mettendola in grassetto. Il colore da solo non basta nemmeno per portare attenzione su un elemento, come nel caso di un messaggio di errore. È preferibile scriverlo (anche) grande e in grassetto. Questo è fondamentale per chi soffre di color-blindness. Verifica la tua palette di colori con questo simulatore di color blindness.
Essi devono essere leggibili, di grandezze appropriate e sufficientemente spaziati. Generalmente i font più leggibili sono sans-serif (senza grazie), ma questa non è una regola assoluta. Tra i più popolari si ricordano Arial, Helvetica, Montserrat, Open Sans e Lato.
Lasciare dello spazio vuoto tra i vari contenuti aiuta moltissimo a distinguerli e ad avere una visione più organizzata della pagina, il che aiuta anche nell'elaborazione delle informazioni.
Oltre al concetto di leggibilità, inteso come legibility (chiarezza dei font e contrasto), si deve anche considerare la readability. Essa riguarda il contenuto dei testi e la loro facilità di comprensione. Pertanto, è utile ricordarsi di utilizzare un linguaggio chiaro, fluente e semplificato. Questo è fondamentale soprattutto per gli utenti affetti da dislessia. Puoi provare ad utilizzare la demo di READ-IT per valutare la leggibilità di un testo.
I contenuti audio/video dovrebbero avere sempre un'alternativa testuale. Per gli utenti con una limitazione della capacità visiva, le trascrizioni possono essere utili quando si utilizzano gli screen reader. Le trascrizioni però possono essere utili anche per utenti con difficoltà di attenzione e di comprensione, perché possono aiutare, per esempio, a seguire più facilmente un contenuto video attraverso i sottotitoli.
Aggiungi sempre il testo alternativo (Alt Text) alle immagini. Alcune persone usano tecnologie assistive, come gli screen readers prima menzionati, che consentono di "leggere" la descrizione dell'immagine rappresentata. Attenzione però: le descrizioni non devono essere eccessivamente lunghe per non rallentare l'esperienza e devono contenere le parole chiave.
Se possibile, è preferibile evitare di sviluppare contenuti che possano causare crisi epilettiche dovute a epilessia fotosensibile, come ad esempio luci lampeggianti o immagini alternate o che cambiano rapidamente. Qualora non si possano evitare è bene inserire un avviso.
È buona prassi che le varie pagine siano consistenti tra loro: mantieni barra di navigazione, header, contenuto e footer sempre negli stessi posti nelle varie pagine del sito. Anche la distribuzione dei contenuti e la divisione delle pagine deve essere logica. Questo renderà l'esperienza di navigazione più intuitiva, anche per chi ha poca familiarità con le tecnologie.
Sempre considerando un caso di cecità, è fondamentale che chi navighi abbia modo di capire dalla descrizione l'azione che segue la selezione di un elemento, anche senza vederne l'icona.
L'utente deve essere certo che la sua richiesta sia stata elaborata. Per questo motivo è importante pensare anche a più di un solo feedback, come un testo e un effetto sonoro.
Non tutti gli utenti useranno sia il mouse che la tastiera. Ricorda quindi di rendere il sito facilmente usabile anche solo con quest'ultima. Ad esempio, ricorda di rendere evidente il campo selezionato, senza che sia necessario cliccarci su. In generale è importante favorire la compatibilità con le tecnologie assistive e con particolari configurazioni.
I primi errori si compiono durante la realizzazione delle user personas. Sebbene crearle sia molto utile per avere di fronte, durante tutto il processo di progettazione, il target di riferimento, esse possono anche essere un pericoloso strumento di superficialità. Il paradosso è che le user personas ci costringono ad una visione semplicistica di esseri estremamente vari, variabili e complessi: gli esseri umani.
Piotr Źrołka, esperto di accessibilità, suggerisce di cambiare il modo in cui pensiamo ai nostri utenti. Secondo egli, le user personas sono un limite, perché non ci permettono di concentrarci su ciò che conta davvero (bisogni, limiti, desideri, ecc.) ma ci distraggono con aspetti meno rilevanti come quello demografico.
La soluzione a questo ostacolo è quella di non soffermarsi mai alle apparenze e impegnarsi molto nella fase di ricerca. È vero che si è alla ricerca degli “utenti tipo”, ma non bisogna tendere a semplificarli troppo e non considerarli dei possibili casi particolari. La verità è che l'utente tipo non esiste ed è proprio per questo che il processo di progettazione non volge mai al termine. I cosiddetti edge cases, sono comunque dei cases: rientrano nei potenziali utenti che utilizzeranno la nostra interfaccia. Questo, naturalmente, è più vero per alcuni prodotti/servizi che per altri: se stiamo progettando per il settore della sanità, dell'educazione, dei trasporti e della pubblica amministrazione, l'accessibilità potrebbe persino essere richiesta per legge, come abbiamo visto.
Un metodo utile per analizzare la relazione tra persone, attività, contesti e tecnologie e progettare interfacce ben pensate è PACT. Esso si realizza solitamente in gruppo attraverso un brainstorming, nel quale l’obiettivo è quello di individuare le necessità per la realizzazione di sistemi interattivi.
Le persone svolgono attività, in contesti, usando le tecnologie.
Come ci può essere utile per l’accessibilità? Soffermarsi sulle persone invece che creare personas e considerare il contesto nel quale un prodotto o sistema verrà utilizzato, oltre che ai modi in cui esso verrà impiegato, può essere utile per valutare nuove possibilità e scoprire ostacoli prima non esaminati.
L’usabilità prevede una valutazione della qualità dell’interazione: quanto tempo è necessario per eseguire un compito? Quanti errori vengono commessi? Quanto è lungo il processo di apprendimento?
L’accessibilità prevede una valutazione dei limiti e delle difficoltà che un utente può trovare, soprattutto dal punto di vista delle disabilità che, come abbiamo visto, possono essere di diversa natura e di diversa durata.
Non sono due concetti nettamente sparati: un prodotto usabile dovrebbe essere anche accessibile. L’uso del condizionale non è casuale, proprio perché ad oggi non è ancora un aspetto sempre considerato. Inoltre, se un prodotto non è accessibile per alcuni, sarà usabile solo dagli altri.
Se l'accessibilità si focalizza sul rendere i prodotti e i servizi accessibili a persone con disabilità, il concetto di inclusività è ancora più vasto. Nel secondo episodio della prima stagione del podcast "Wireframe", Khoi Vinh e Isabella Kulkarni ci raccontano come è nato il discorso dell'inclusività.
Il primo programma televisivo a usare i sottotitoli fu quello di Julia Child, una chef che presentava piatti francesi agli americani. I sottotitoli possono essere utili per tante persone: coloro che hanno difficoltà uditive, chi non parla la lingua, ma anche chi semplicemente vuole leggere o lasciare il volume del televisore basso. Tuttavia, i sottotitoli erano stati pensati per un gruppo specifico di persone: gli spettatori che hanno problemi di udito.
L’uso delle open-captions non è stato gradito da tutti: i sottotitoli non erano rimovibili, perciò anche coloro che non avevano problemi di udito erano costretti a vederli. Molti si sono lamentati, ritenendo le scritte fastidiose e limitanti, perché coprivano lo schermo.
Qual è stato l'errore? Nella buona intenzione di tentare di trovare una soluzione per agevolare la fruizione di un servizio anche a chi ha una disabilità, ci si è dimenticati degli utenti che non hanno questa necessità, o semplicemente non hanno questo desiderio. Dall'intenzione di rimuovere un limite, se n'è creato un altro. Il problema è poi stato risolto sostituendo le open-captions con le closed-captions: sottotitoli opzionali, attivabili a piacimento con il telecomando.
Un esempio contemporaneo che possiamo aggiungere è quello degli audiolibri: essi aiutano chi ha handicap visivi o motori e allo stesso tempo permette anche a chi non ha questo tipo di disabilità di leggere mentre compie un’attività diversa.
Un ultimo esempio possiamo prenderlo da Netflix. Oltre ai sottotitoli spesso vi è anche la possibilità di riprodurre un film con l’audiodescrizione. Essa prevede l’aggiunta di un commento audio che svela e descrive le scene silenziose, le azioni, le espressioni dei personaggi e gli ambienti del film. Le immagini assumono, nella mente dell’ascoltatore con una disabilità visiva, una maggior completezza, talvolta persino migliore di quelle che vede uno spettatore normo vedente. Se non li hai mai provati, ti consigliamo di provare a chiudere gli occhi e vedere un film, magari uno che già conosci, con l’audiodescrizione.
Questa è l’inclusività: progettare per le diversità, non per i limiti.
Il design inclusivo riconosce che le soluzioni che funzionano per le persone con disabilità possono funzionare anche per persone in diverse circostanze, e che è importante fornire pari opportunità ma molteplici possibilità di esperire.
Un discorso simile è quello tenuto da Elise Roy durante il suo TED Talk. Racconta che aver perso progressivamente l'udito dall'età di 10 anni le abbia permesso di vedere le cose da una prospettiva diversa.
Elise si chiede "e se iniziassimo a progettare per le disabilità, in primis? Quando lo facciamo, ci imbattiamo in soluzioni che non sono solo inclusive, ma spesso sono migliori anche per la norma". Aggiunge che progettare per le disabilità è un modo per incentivare la creatività e l'innovazione. Questo si lega al concetto di inclusività descritto prima, perché non si vuole pensare ai limiti come tali, ma si vuole considerare la diversità come stimolo per creare qualcosa di nuovo e di usabile da (potenzialmente) tutti.
È importante quindi iniziare a progettare qualcosa di accessibile e farlo nell'ottica di renderla inclusiva.
Sebbene non sia possibile assicurare una totale accessibilità, è importante considerarla sempre nel proprio progetto o, meglio ancora, avere un metodo volto all'inclusività.
Uscire dalla propria way of thinking e non dare per scontato che tutti usino gli oggetti o navighino come fai tu, sono i primi passi per aprirsi a nuove scoperte. Non bastano però: è necessario incontrare e parlare con più persone possibili, così che possano raccontarti la loro visione delle cose, coinvolgerle nel processo di ideazione e di test.
Una mentalità inclusiva non deve essere vista come un limite alla creatività. Al contrario, rivalutare le proprie idee e considerare diversi punti di vista possono stimolarla.
Fonti:
- Web Content Accessibility Guidelines (WCAG) 2.1.
- Firth A. (2019), Practical Web Inclusion and Accessibility: a Comprehensive Guide to Access Needs, Apress.
- Webinar: "11 ways to start your inclusive, accessible design toolkit" di UXPin, con Piotr Źrołka, 28 gennaio 2021.
- Podcast "Wireframe" by Adobe: “Inclusivity is a recipe for Good Design, Season 1, Ep. 2, 20 nov 2018, presentano Khoi Vinh e Isabella Kulkarni.
- Istat (2019), "Conoscere il mondo della disabilità: persone, relazioni e istituzioni"
- Material Design-Accessibility.
- Lenius: "I numeri della disabilità in Italia", scritto da Maria Chiara Paolini.
- W3C Working Group Note: Introduction to Understanding WCAG 2.0.
- Wikipedia: Accessibilità (web).
- Interaction-Design: “Accessibility: Usability for all”, scritto da Mads Soegaard in ottobre 2020.
- Agenzia per l’Italia Digitale-Website Accessibility (ultimo aggiornamento il 15 gennaio 2020).
- Ceteco: “Cosa sono le tecnologie assistive e quali opportunità offrono?”, pubblicato l’8 ottobre 2019.
- UX Planet: “Usability for designers, P-A-C-T framework”, scritto da Muditha Batagoda, il 27 gennaio 2018.
- Audiomovie-Il cinema per disabili visivi: “Cos’è l’audiodescrizone”.
Complimenti Monia per l'articolo sull'accessibilità nel mondo UX/UI. Grazie a te ho chiarito qualche dubbio e sicuramente mi hai dato spunti da approfondire nella mia professione.